La Partnership Trans-Pacifico senza Stati Uniti
aprile 26, 2018 Lascia un commento
Dmitrij Bokarev, New Eastern Outlook 24.04.2018
Il Trans-Pacific Partnership (TPP) è una bozza di zona di libero scambio (FTZ) che ha lo scopo di unire praticamente l’intero Asia-Pacifico (APAC). Originariamente, il TPP era considerato un progetto esclusivamente statunitense volto a rafforzare l’influenza sull’APAC e a diminuire quella della Cina. Tuttavia, dopo che gli Stati Uniti si ritirarono, il progetto, rimanendo praticamente invariato, iniziò ad acquisire un significato completamente nuovo. I colloqui avviati dagli Stati Uniti sulla creazione del TPP iniziarono nel 2008. A fine 2015, dopo lunghe trattative, fu elaborato l’accordo TPP, firmato a Auckland (Nuova Zelanda) nel febbraio 2016. Secondo l’accordo, gli Stati membri pianificavano la fine dei dazi doganali, stabilendo standard di sicurezza sanitaria unificati, introducendo una politica unificata di protezione della proprietà intellettuale, ecc. Secondo le previsioni ottimistiche, la nuova FTZ doveva rappresentare il 25% del il fatturato globale commerciale. 12 Stati firmarono l’accordo: Stati Uniti, Canada, Giappone, Australia, Singapore, Vietnam, Nuova Zelanda, Malesia, Brunei, Messico, Perù e Cile. Taiwan, Corea del Sud, Indonesia, Colombia e Filippine espressero ufficialmente interesse per il TPP. La Thailandia espresse cauto interesse. L’accordo doveva entrare in vigore dopo l’approvazione da tutti i governi degli Stati membri. Al tempo, gli Stati Uniti guidarono la Partnership. Inoltre, molti esperti consideravano il TPP una base per ripristinare e aumentare l’influenza degli Stati Uniti nell’APAC, non solo in termini economici, ma anche politici e persino militari. Alcuni media filo-USA affermarono che gli Stati membri del TPP si univano attorno agli Stati Uniti per contenere l’influenza cinese. Ciononostante, altri esperti capirono già allora che nel mondo multipolare contemporaneo, dove tutti gli Stati hanno eguali diritti e opportunità, gli Stati membri del TPP non avrebbero seguito gli Stati Uniti e neanche stabilirebbero blocchi politici o militari con essi, e che le attività del TPP non sarebbero andati oltre un commercio reciprocamente vantaggioso. Ciò fu indicato, ad esempio, dalla partecipazione del Vietnam al TPP, Paese socialista abituato a condurre una politica indipendente. Tuttavia, anche queste aspettative moderate dal TPP si sono dimostrate sopravvalutate. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, principale artefice dell’accordo, che ne considerò l’adempimento uno dei più importanti obiettivi in politica estera, non riuscì a farlo ratificare dal Congresso degli Stati Uniti. Nel novembre 2016, il nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump fu eletto, ed era scettico sull’idea del TPP. Nel gennaio 2017 firmò un decreto sul ritiro degli Stati Uniti dal partenariato, che riteneva non corrispondesse agli interessi degli Stati Uniti.
Molti appassionati del TPP ritennero questa mossa il colpo fatale al progetto. Tuttavia, i restanti 11 Paesi leader la pensavano diversamente ed iniziarono a lavorare su un nuovo accordo, annunciando le loro intenzioni di rianimare il progetto TPP nel novembre 2017, durante il summit dell’APEC a Da Nang, in Vietnam. Ora, la partnership è guidata da Australia e Giappone. Secondo il Primo ministro giapponese Shinzo Abe, gli Stati membri interessati sono decisi ad impegnarsi al libero scambio e ad unirsi per realizzare il progetto il prima possibile. A fine gennaio 2018, Tokyo ospitò l’incontro decisivo dei rappresentanti degli Stati membri del TPP, dove il nuovo testo dell’accordo fu finalmente approvato. Il nuovo accordo TPP senza partecipazione degli Stati Uniti fu firmato da 11 Stati in Cile l’8 marzo 2018. Entrerà in vigore 60 giorni dopo la ratifica da parte di tutti i parlamenti degli Stati membri. Il testo del documento è leggermente diverso da quello originale. Alcuni Paesi hanno fatto del loro meglio per cambiarlo a proprio vantaggio dopo il ritiro degli Stati Uniti. Ad esempio, il Vietnam suggeriva di eliminare diversi articoli sul diritto del lavoro che Washington DC impose ai partner col pretesto della protezione dei diritti umani. Il nuovo accordo TPP ha un’altra caratteristica importante: la possibilità di accettare nuovi membri. Pertanto, diversi Stati membri del TPP, tra cui Messico, Perù e Cile, incoraggiano Russia e Cina ad aderirvi, ovvero due potenti Stati del Pacifico, che il progetto TPP originale non includeva. Possono anche aderire Stati che non hanno accesso all’Oceano Pacifico. Ad esempio, il Regno Unito vi ha espresso interesse. Il carattere aperto del TPP concede agli Stati Uniti l’opportunità di ricongiungervisi se lo decidessero. Ed è probabile. Al Forum economico mondiale di Davos (WEF), che si svolse a fine gennaio 2018, Donald Trump dichiarasse che gli Stati Uniti erano pronti a tornare ai negoziati TPP a condizione che agli Stati Uniti venissero offerte condizioni più accettabili.
Esiste un altro possibile evento che può spingere gli Stati Uniti a rientrare nel TPP, che potrebbe espandere notevolmente il territorio e il potenziale del TPP. È la possibilità che tutti i membri dell’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico (ASEAN) vi aderiscano. Come già accennato, il TPP include membri influenti dell’ASEAN come Singapore e Vietnam, oltre a Brunei e Malesia. Thailandia e Indonesia esprimono interesse e sono tra le economie più sviluppate dell’ASEAN. È possibile che anche altri membri del blocco vogliano aderire. Nel marzo 2018, Sydney ospitò il summit speciale ASEAN-Australia, a cui presero parte tutti i leader e primi ministri dei Paesi membri dell’ASEAN, ad eccezione delle Filippine (rappresentate dal segretario degli Esteri). I principali argomenti erano garantire sicurezza e libero scambio. Fu anche discussa la partecipazione degli Stati membri dell’ASEAN al TPP. Australia ed ASEAN sono partner strategici dal 2014 e hanno collaborato attivamente su varie piattaforme. Il grande sforzo fatto da Canberra per preservare il progetto TPP mostra che è molto interessata e probabilmente lavorerà ancora più duramente per inserirvi tutti i membri dell’ASEAN. Pertanto, il partenariato transpacifico, che molti erano pronti a rottamare dopo il ritiro degli Stati Uniti, ha buone prospettive. Ora, possibilità del ritorno degli Stati Uniti al TPP è sempre più discusso sui media. Tuttavia, anche se dovesse accadere, gli Stati Uniti non giocheranno più un ruolo guida. Il partenariato è ora guidato da altri Paesi, che modificano il testo dell’accordo in base alle loro esigenze.
In conclusione, potremmo dire che se il TPP fosse stato originariamente progettato per unire i partner degli USA, sostenendo l’egemonia statunitense nell’APAC, ora è un’unione indipendente di Stati regionali che imparando a vivere senza che Washington gli dica cosa fare.Dmitrij Bokarev, osservatore politico, in esclusiva per la rivista online “New Eastern Outlook”.
Traduzione di Alessandro Lattanzio