I tre fronti nella nuova strategia globale del Pentagono
aprile 23, 2018 1 commento
Mision Verdad, 18 aprile 2018Nello scenario internazionale delle armi e della tecnologia militare, gli Stati Uniti sono quattro o cinque generazioni dietro Russia e Cina. Basta guardare un po’ e rivedere ciò che è stato recentemente presentato dai russi sulle questioni belliche, con missili supersonici (nucleari) dalla gittata che può raggiungere qualsiasi parte del pianeta. Il dipartimento della Difesa gringo l’ha capito di recente, specialmente con l’ultimo attacco coordinato con Regno Unito e Francia contro la capitale della Siria, Damasco, in cui i cento missili lanciati sulla città e dintorni sono stati neutralizzati dal sistema antiaereo d’era sovietica. La Russia non ha ancora fornito all’Esercito arabo siriano gli scudi antimissile S-300 e S-400 di ultima generazione. Questo è il motivo per cui il Pentagono ha deciso di considerare una nuova strategia per cercare di contenere le potenze in ascesa russa e cinese dall’influenza cruciale in Medio Oriente e Asia. “La grande competizione tra potenze, non il terrorismo, è emersa quale sfida centrale a sicurezza e prosperità degli Stati Uniti“, diceva il controllore del Pentagono David Norquist quando i militari chiesero al Congresso un budget da 686 miliardi di dollari a gennaio. “È sempre più evidente che Cina e Russia vogliono plasmare il mondo ai loro valori autoritari e, nel processo, sostituire l’ordine libero e aperto che ha permesso sicurezza globale e prosperità dalla Seconda guerra mondiale“. Apparentemente, l’alto comando militare statunitense ha deciso di cercare di sovvertire gli obiettivi di Cina e Russia di formare nuove relazioni internazionali non focalizzate sull’occidente, specialmente al di fuori dell'”onnipotenza” degli Stati Uniti, caratterizzandosi col multipolarismo. L’accademico e scrittore Michael Klare assicura che questo si traduce in una nuova “lunga guerra”, non più contro il terrorismo, ma su tre fronti contro le potenze eurasiatiche. Qual è tale strategia secondo documenti e dichiarazioni dei comandanti.
Il nuovo consiglio geopolitico e “tre fronti”
Prima che Donald Trump arrivasse alla Casa Bianca, i massimi funzionari statunitensi avevano già valutato l’attuale equazione strategica globale, con attenzione particolare allo schieramento di forze speciali operative (FOE) (un esercito di 70000 militari tratti dalla dirigenza militare gringa), poco impiegati dalle unità più potenti dell’esercito: le brigate di carri armati, le compagnie dei marines e gli squadroni di bombardieri dell’aeronautica, e così via. Tale schieramento deve stabilizzare le forze armate USA in diverse parti del mondo, nel quadro della “Guerra al terrorismo”, ma dalla scarsa competitività cogli attori militari più pesanti. Pertanto, nella Strategia di difesa nazionale recentemente pubblicata dagli Stati Uniti, si legge: “Oggi emergiamo da un periodo di atrofia strategica, consapevoli che il nostro vantaggio competitivo militare è stato eroso“. E continua: “Siamo di fronte al crescente disordine globale, caratterizzato dal declino della vecchia legge internazionale“, riguardo le azioni di Cina e Russia, e non di al-Qaida e SIIL; un ritorno alla Guerra Fredda. Per contrattaccare, gli Stati Uniti non devono solo spendere molto su tecnologie all’avanguardia, ma anche ridisegnare la mappa strategica globale. Le FOE, ad esempio, sono abituate ad operare in territori in cui i confini sono confusi e i campi di battaglia non sono densi. Le due “minacce esistenziali” eurasiatiche del Pentagono sono avversari la cui priorità è la protezione dei confini, motivo per cui la strategia del confronto degli USA va aggiornata. Tale aggiornamento tiene conto dei “tre fronti” descritti da Klare:
Asia: lo scontro con la Cina si estende dalla penisola coreana alle acque dell’Est e del Sud del Mar Cinese e dell’Oceano Indiano, col supporto degli “alleati” (Corea del Sud, Giappone, Australia).
Europa: lo scontro con la Russia si estende da Scandinavia settentrionale e repubbliche del Baltico alla Romania, passando per Mar Nero fino al Caucaso ad est. I membri della NATO sono la chiave del Pentagono in tale contesto.
Medio Oriente: la crescente influenza della Russia ha riequilibrato la regione a favore di Iran, Siria, Iraq e altri attori non statali del cosiddetto Asse della Resistenza, a scapito dell’influenza statunitense, che ha in Israele e Arabia Saudita i principali alleati.
La prospettiva del Pentagono in tale strategia è d’investire su tutti questi fronti da parte di marina, aeronautica ed esercito, per provare a sfruttare le vulnerabilità sino-russe. Lo schieramento delle organizzazioni militari unificate di combattimento è il seguente:
PACOM o Comando Pacifico, con responsabilità sull’Asia.
EUCOM o comando europeo.
CENTCOM o comando centrale, che copre Medio Oriente e Asia centrale.
Bisogna tenere conto del fatto che i comandanti di tali organizzazioni militari sono i massimi responsabili di queste aree e hanno più autorità degli ambasciatori gringos e persino di certi capi di Stato.
Il fronte indo-pacifico
Il comandante del PACOM è l’ammiraglio Harry Harris Jr., che il 15 marzo dichiarò al Comitato dei servizi armati del Senato degli Stati Uniti che “la rapida evoluzione dell’Esercito di Liberazione Popolare (cinese) a forza di combattimento moderna e altamente tecnologica, continua a essere sorprendente e preoccupante“, aggiungendo che le sue capacità progrediscono più velocemente di qualsiasi altra nazione al mondo, beneficiando di solidi investimenti e priorità. Era particolarmente preoccupato dallo sviluppo dei missili balistici a raggio intermedio della Cina, che potrebbero puntare le basi gringhe in Giappone e Guam, e la sua forza navale in grado di sfidare lontano dalle coste della Cina il Comando del Pacifico occidentale statunitense. “Se questo programma di (costruzioni navali) continua“, aveva detto Harris, “la Cina supererà la Russia come seconda flotta del mondo entro il 2020, in termini di sottomarini e navi come fregate o più grandi“. Chiese investimenti nello sviluppo di missili soprattutto, ma la lista dei giocattoli da guerra è lunga, chiedendo aerei e missili di nuove generazioni, anche nucleari, per neutralizzare le batterie dei nuovi missili e le navi da guerra cinesi. La proposta del comandante PACOM comprende anche il rafforzamento delle alleanze con Giappone, Corea del Sud, Australia, nonché l’estensione di nuovi legami con l’India, il cui dirigente attualmente affronta la Cina.
Il teatro europeo
Il comandante di EUCOM, il generale Curtis Scaparrotti, pure testimoniava al Senato l’8 marzo, insinuando che la Russia sia un’altra Cina: “La Russia cerca di cambiare l’ordine internazionale, fratturare la NATO e minare la leadership USA a favore del proprio regime, per riaffermare il dominio sui vicini e aver maggiore influenza nel mondo… la Russia dimostra volontà e capacità d’intervenire nei Paesi alla sua periferia, specialmente in Medio Oriente“. “La nostra massima priorità strategica“, insisteva Scaparrotti, “è impedire alla Russia d’impegnarsi in ulteriori aggressioni ed esercitare influenza maligna sui nostri alleati e partner. A tal fine, abbiamo aggiornato i nostri piani operativi per fornire le opzioni della risposta militare per difendere i nostri alleati europei dall’aggressione russa“. Ecco perché viene rafforzata l’iniziativa europea di dissuasione guidata dall’EUMCOM, un piano avviato da Barack Obama per via dell’annessione della Crimea alla Federazione Russa, atto usato dall’occidente per sanzionare il Paese eurasiatico. Con un budget richiesto di 6,5 miliardi di dollari entro il 2019, sarà il fronte dei principali Paesi confinanti con la Russia: Estonia, Lituania, Lettonia e Polonia. Circa 200 milioni di dollari andrebbero alla missione del Pentagono in Ucraina. Come Harris, il generale Scaparrotti propose di avanzare i piani statunitensi su missili e altre armi ad alta tecnologia, come controparte modernizzata delle forze russe. Inoltre, chiese l’aumento degli investimenti nella guerra cibernetica, riconoscendo le capacità cibernetiche russe, oltre che nel nucleare, nel caso in cui si sviluppi un campo di battaglia europeo.
Il comando centrale in Medio Oriente
Il CENTCOM, comandato dal generale Joseph Votel, testimoniava al Senato per discutere lo sviluppo della presunta lotta allo SIIL in Siria e i taliban in Afghanistan, ma affermava anche che l’organismo che dirige cambierà visione strategica in futuro: “La Strategia di difesa nazionale recentemente pubblicata identifica correttamente il risorgere della competizione tra grandi potenze come nostra principale sfida alla sicurezza nazionale, e vediamo gli effetti di tale competizione nella regione (del Medio Oriente)“. Secondo Votel la Russia, attraverso il governo siriano di Bashar al-Assad e i suoi sforzi per influenzare altri attori chiave nella regione, e la Cina, attraverso investimenti economici e presenza militare crescente, contestano l’area d’influenza del CENTCOM, e quindi si rafforzano geopoliticamente in Medio Oriente. La preoccupazione particolare di Votel è il porto gestito dalla Cina di Gwadar, in Pakistan, sull’Oceano Indiano, e la nuova base cinese a Gibuti nel Mar Rosso, davanti Yemen e Arabia Saudita, contribuendo alla “proiezione militare e di forze” nell’area gestita da CENTCOM. In tali circostanze, secondo Votel, spetta al CENTCOM unirsi a PACOM ed EUOMOM per resistere alla fermezza sino-russa. “Dobbiamo essere pronti ad affrontare queste minacce, non solo nelle aree in cui risiedono, ma nelle aree in cui hanno influenza“, aveva detto senza entrare nei dettagli: “Abbiamo sviluppato… buoni piani e processi su come farlo“. Apparentemente, le promesse di ritirare le truppe dal Medio Oriente di Trump sono pura illusione, tenendo conto di tali affermazioni.
Un futuro pericoloso?
Gli alti ufficiali statunitensi comprendono la situazione in modo militare, al di fuori del centro politico-diplomatico, e indipendentemente da ciò che è stato detto e fatto da Trump alla Casa Bianca. Il Pentagono intende espandere i propri tentacoli sul mondo, e non solo tecnologicamente. Secondo analisti come Klare, il futuro sarà segnato da tale reazione degli Stati Uniti. È una strategia plausibile o rimarrà un’illusione? Cercare di “contenere”, eufemismo per nascondere il belluismo occidentale, Russia e Cina potrebbe causare terremoti non solo geopolitici ma evidentemente anche militari in tutto il mondo. Il raggio d’azione degli Stati Uniti, che deve articolarsi, ha a che fare con la guerra cibernetica e varie forme di guerra economica, in concomitanza con lo sviluppo di armi avanzate. Assistere non solo alla “Guerra al terrorismo” nei diversi scenari mondiali, ma anche fare pressioni sui tre fronti descritti richiederebbe molti investimenti, mezzi elettronici e umani ad alte prestazioni, oltre a causare probabilmente uno shock dalle conseguenze inestimabili. Il pericolo dell’attuazione effettiva della strategia dei “tre fronti” è l’immensa capacità di scontro, errori, escalation e mera guerra che potrebbe diventare nucleare. Ci sono molti punti d’attrito che gli Stati Uniti hanno acceso sul pianeta per via della politica geostrategica di Russia e Cina, come i conflitti nel Mar Baltico, Mar Nero, Siria e Mar Cinese Meridionale. Tutti sotto tensione; che siano conflitti diplomatici, economico-commerciale-finanziari, politico-istituzionali, tutto è pianificato dal Pentagono.Traduzione di Alessandro Lattanzio