Chi ci perde dalla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina
marzo 29, 2018 Lascia un commento
Mision Verdad, 27 marzo 2018Il 22 marzo, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, firmava un memorandum “sulla lotta contro l’aggressione economica della Cina” con cui impone nuove tasse sui prodotti importati dal Paese asiatico e compie un altro passo verso la guerra commerciale contro concorrenti e fornitori. Alcuni analisti dicono che la decisione è un altro esempio di debolezza degli Stati Uniti, una nazione che ha promosso la globalizzazione, ma ora “si oppone, a causa dell’invecchiamento della propria industria“. Si tratta di dazi annuali di 60 miliardi di dollari sui prodotti cinesi che riafferma la tendenza del presidente e magnate a mescolare interessi economici e di sicurezza per fare pressione sulla Cina. La misura cerca di raccogliere fondi per compensare i precedenti tagli alle tasse interne, Trump ha anche promesso di recuperare posti di lavoro e ridurre il peggiore deficit commerciale in sette anni, circa 566 miliardi di dollari. Proprio il gap commerciale più grande è con la Cina: 375 mila 100 milioni di dollari, con un incremento annuo dell’8,1%.
Da dove viene il gap?
La posizione vantaggiosa della Cina nei confronti degli Stati Uniti, in particolare in settori come acciaio ed alluminio, è dovuta ai livelli di sovrapproduzione cinese. Nel 2000, il contributo della produzione di acciaio cinese al totale mondiale non arrivava a un terzo, nel 2016 era il 51%. Quando tutti i grandi Paesi hanno ridotto la produzione di acciaio, la Cina l’ha raddoppiata dall’inizio del secolo. Quasi lo stesso accade con l’alluminio: gli Stati Uniti erano un produttore importante fino al 2005, ma oggi la Cina produce metà dell’alluminio mondiale. Analizzando meglio, si può vedere che, nell’esportazione, gli Stati Uniti sono cresciuti di poco più di sei volte, mentre la Cina di oltre 70 volte.
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Exports to the world
1986
US: $211 billion
China: $27 billion
2016
US: $1330 billion
China: $1980 billion
Inoltre, la crescita del debito pubblico degli Stati Uniti ha superato il 100% del prodotto interno lordo (PIL), divenendo il quarto Paese con la più alta percentuale di debito sul PIL.
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US government debt.
1998: $5.5 trillion
2008: $10 trillion
2018: $21 trillion
US government debt as share of GDP.
1998: 60%
2008: 67%
2018: 107%
La Cina è il primo detentore del debito USA perché vende a credito più di quanto acquisti, e anche perché compra titoli di Stato a basso rischio nella turbolenta danza tra agenzie di rating e banche salvate. Nell’economia globale, il dollaro ha molto più potere d’acquisto dello yuan. Ciò rende i prodotti statunitensi più costosi all’estero dei prodotti cinesi. Pertanto, i prezzi dei prodotti fabbricati in Cina sono molto più competitivi di quelli degli Stati Uniti.
Reazioni degli Stati Uniti
La misure protezionistiche prese da Trump, nell’architettura economica che la corporatocrazia statunitense ha subordinato al libero mercato, possono ulteriormente minare le dinamiche interne degli Stati Uniti. Personaggi come il suo ex-consigliere economico Gary Cohn, Orrin Hatch, il capo repubblicano della Commissione finanze del Senato e il presidente della Camera Paul Ryan, hanno espresso insoddisfazione e distacco da tali misure. Mentre Richard Trumka, presidente del centro sindacale AFL-CIO che raggruppa oltre 12 milioni di lavoratori nel settore pubblico e privato degli Stati Uniti, ha detto che l’annuncio dei dazi su acciaio e alluminio è un “passo positivo” per proteggere i posti di lavoro negli Stati Uniti, John Heisdorffer, presidente della American Soybean Association (ASA), ha ribadito “grande preoccupazione” per la possibile rappresaglia della Cina contro la soia statunitense, poiché è il più grande acquirente e consuma quasi un terzo della produzione dal valore di 14 miliardi di dollari all’anno. I mercati azionari di tutto il mondo sono caduti giovedì e venerdì, riflettendo le preoccupazioni degli investitori sul peggioramento del commercio sino-statunitense. Tuttavia, Trumka ha detto che “le leggi della globalizzazione sono state scritte contro i lavoratori, è il mito che hanno tentato di perpetuare, la scusa è l’economia, non si può fare nulla, ma l’economia non è altro che un serie di regole, scritte dagli uomini e donne che scegliamo, che indicano i vincitori e i perdenti”, aggiungendo che “ora Wall Street è inquieta perché era abituata a farla franca, non gli interessano i posti di lavoro in Messico o negli Stati Uniti, si preoccupa solo dei prezzi delle azioni, e questo (i dazi) influisce sulle sue azioni, francamente, ha già tratto abbastanza profitti, un record continui per tre anni”, aggiungeva. La senatrice democratica Heidi Heitkamp indicava l’economia del suo stato, North Dakota, dicendo che “ha bisogno di una guerra commerciale tanto quanto una mucca ha bisogno di un hamburger. Il 50% delle esportazioni del Nord Dakota verso l’Unione europea (UE) sono prodotti agricoli e macchinari per l’edilizia e il 60% delle nostre esportazioni in Cina sono prodotti agricoli“.Prime reazioni dalla Cina
La Cina prima studia le sovvenzioni commerciali che gli Stati Uniti applicano ai proprio prodotti agricoli come risposta, come affermato da vari attori nel paese nordamericano. In risposta al memorandum, l’ambasciata cinese negli Stati Uniti affermava che “è una tipica azione protezionistica commerciale unilaterale, la Cina è molto delusa e fortemente contraria da tale azione“, aggiungendo. “le azioni intraprese dagli Stati Uniti sono controproducenti: danneggeranno direttamente gli interessi di consumatori, imprese e mercati finanziari negli Stati Uniti. Inoltre mettono in pericolo l’ordine commerciale internazionale e la stabilità economica globale“. Si ritiene che la Cina ricorra alla cooperazione per disinnescare il conflitto, aumentando il commercio tra i due Paesi, ad esempio espandendo la propria apertura nei servizi, produzione e prodotti base mentre gli Stati Uniti potrebbero allentare i controlli su esportazioni di prodotti high-tech e alto valore aggiunto in Cina. Ciò che sembra una guerra commerciale finisce per essere un tentativo di intimidire la Cina e il resto del mondo per far sì che tutti rafforzino gli Stati Uniti, concedendogli risorse economiche e opportunità di sviluppo, mentre la Cina abbandona la via per essere un altro centro del capitale e della tecnologia. I media cinesi sostengono che lo statunitense medio, nella sua brama di consumo, non vuole la guerra commerciale con la Cina; Se dovesse intensificare e danneggiarne l’economia, Trump la pagherebbe alle urne. Il Vicedirettore del Dipartimento Informazioni del Ministero degli Esteri della Repubblica Popolare Cinese, Hua Chunying, affermava che il suo Paese “combatterà fino alla fine” in ogni guerra commerciale ed esortava gli Stati Uniti a prendere decisioni caute, aggiungendo che il Paese nordamericano ha importato grandi quantità di prodotti a basso costo e ad alta intensità di manodopera dalla Cina, che hanno ridotto significativamente i costi ai consumatori statunitensi, aumentatone le eccedenze, migliorandone il benessere e aiutando gli Stati Uniti a rallentare l’inflazione.
Chi vince e chi perde?
Il surplus commerciale della Cina nel campo dell’elettronica e delle apparecchiature elettriche contrasta col notevole deficit commerciale in prodotti agricoli, attrezzature e servizi. Le importazioni cinesi di prodotti agricoli, cuoio e aerei rappresentano una parte importante delle esportazioni statunitensi. Pertanto, questi settori potrebbero risentirne se il colosso asiatico volesse imporre sanzioni commerciali agli Stati Uniti. Una guerra commerciale minerebbe direttamente gli interessi di consumatori (il motore dell’economia globale), imprese e mercato finanziario statunitensi. Hua ha descritto il brusco calo delle azioni statunitensi di giovedì come “voto di sfiducia da parte del mercato finanziario verso politiche e movimenti scorretti degli Stati Uniti“. Si sostiene che la Cina non sarà la principale vittima di tali misure, ma gli stretti alleati degli Stati Uniti, maggiore importatore di acciaio al mondo con 20 milioni di tonnellate all’anno per 24 miliardi di dollari. Il principale fornitore è il Canada, col 17% del totale, seguito da Corea del Sud e Brasile. Trump ha promesso che farà eccezioni con alleati come Argentina, Canada e Messico, tentando così di mantenere il controllo diretto e il supporto incondizionato dei suoi alleati. La Cina è solo l’undicesimo esportatore di acciaio negli Stati Uniti. Importanti fornitori come Giappone, Germania e Taiwan saranno inoltre danneggiati dalle misure annunciate. La Cina spera di ridurre significativamente gli ostacoli all’accesso al mercato, facilitare gli investimenti e incoraggiare l’ingresso di capitali esteri in più regioni, la strategia della cooperazione attuata dalla sua diplomazia le consentiranno di diversificare i mercati. Mentre gli Stati Uniti combattono mezzo mondo, compresi i più stretti alleati, la Cina scommette su maggiori scambi liberi e più globalizzazione senza programmi bellici. In questo senso, il progresso delle relazioni con l’Europa permetterà d’isolare gli Stati Uniti mentre persiste tale visione unica ed esclusiva. È così che la Cina gestisce già circa 20 linee ferroviarie dirette con città europee come Londra, Madrid, Rotterdam o Varsavia attraverso la tratta Cina-Madrid, che esiste da più di un anno ed è il servizio ferroviario più lungo del mondo, che sarà ottimizzato dalle compagnie russe a un costo di 242 miliardi di dollari. Anni fa, gli Stati Uniti cessarono di essere la superpotenza che contribuiva al 50% dei beni prodotti nel mondo, dopo la Seconda guerra mondiale. Oggi assistiamo al crollo di una nazione indebitata e divisa, attraversata da complessi conflitti sociali e che non è un punto di riferimento economico e politico per i Paesi occidentali.Traduzione di Alessandro Lattanzio